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Sandro Galantini |
ROSETO. La carrozza
dell'intrepida nobildonna Margherita Sparapani Gentili Boccapadule
viaggiava con una ruota nell'acqua e l'altra nel fango alla fine del
Settecento su quella che al tempo dei romani fu la consolare
adriatica. Con i fiumi da guadare se non a nuoto quasi, visto che di
ponti non se ne vedeva più neanche l'ombra.
È stato un lungo
excursus del turismo attraverso documenti storici, quello che Sandro
Galantini, giornalista e divulgatore di storia, ha portato questo
pomeriggio nell'affollata aula consiliare di Roseto. Invitato
dall'attivissima “Università rosetana della terza e del tempo
libero”, guidata dall'infaticabile professoressa Patrizia De
Filippo. La quale, sia detto per inciso, ha in serbo non poche novità
per la ripresa post-natalizia che verranno ufficialmente annunciate
nei prossimi giorni.
È partito dal
1670, il professor Sandro Galantini (per un decennio – dico giusto
per chi non lo conoscesse – anche addetto stampa del comune di
Giulianova); da quel Richard Lassel, sacerdote inglese che sdoganò
un po' il termine “tour” dal pellegrinaggio religioso ai
viaggiatori del “Gran Tour”. I quali viaggiatori consideravano
l'Abruzzo costiero del tutto marginale, infestato com'era da paludi
malariche e brigantaggio nonché popolato da gente piuttosto rozza.
Così, dove oggi
c'è Roseto non v'era che qualche casa di fango e paglia, fungente da
“posta” per il cambio dei cavalli. Come descriveva, sempre nel
'700, l'illuminista molisano Giuseppe Maria Galanti. Tanto insalubre
che un editto del 1763 imponeva una distanza di mille passi dalla
spiaggia per la coltivazione della vite affinché il vino non
prendesse di marcio.
Dopo S.Benedetto del Tronto e
le al contrario evolute Marche, era dunque Giulianova ad assumere una
certa centralità, forse perché rialzata sulla costa. E, più a sud,
Montepagano, di cui comincia a parlare un intellettuale francese,
Valleroy, nel 1826. E più ancora ne parla, di Montepagano, Cesare
Malpica, avvocato e giornalista napoletano cui si deve forse una
delle prime citazioni del campanile paganese con tutta la vicenda –
a metà tra leggenda e realtà – di papa Sisto V°.
Ma nel frattempo
c'era stato uno scienziato, Michele Tenore, che aveva catalogato un
essenza arborea che molto dirà (e dice ancora) dalle nostre parti:
il pinus. Vale a dire quei pini autoctoni, tipici del luogo,
che furono massicciamente piantati nel ventennio fascista proprio a
fini turistici e seguitati a coltivare fino ad un quarantennio fa.
Quelle maestose e bellissime piante, cioè, che i sindaci e gli
assessori di oggi mozzano brutalmente, decapitano e segano senza pietà perché rovinerebbero le strade e cascerebbero sulle auto
durante i temporali. Ma questa dell'ignoranza irreparabile della
politica odierna è altra storia, cui questo post accennerà
solo in chiusura.
Per tornare allora
a Galantini, va un cenno a Richard Cramen, viaggiatore inglese di cui
v'è traccia di passaggio qui nel 1777, a nome di quella speciale
formazione accademica anglosassone che voleva i rampolli di Sua
Maestà viaggiatori nelle zone più disagiate onde imparar l'arte del
governo delle terre coloniali. Giù giù per Gregorio De Filippis Delfico ed alle cose che cominciano a cambiare nel secondo Ottocento,
come si evince dalle prime guide turistiche e da ser Charles
Mcfarland. Ma qui siamo alle soglie della ferrovia e dell'unità
d'Italia, quando il Paese cambia e con esso il viaggiare.
Arrivano allora le
professioni borghesi. I viaggiatori diventano “villeggianti”. Si
fanno la villa, stile liberty o neoclassico. Montepagano perde via
via importanza e nascono Le Quote, poi Rosburgo. Un paese di villini,
pini e roseti. Una località bellissima che, negli anni venti e
trenta del Novecento rivaleggia con Viareggio e le più note località
turistiche italiane. Come riportano guide e riviste che Galantini
enumera ed illustra.
Si giunge quindi ad
Ascanio Branca, giornalista e deputato, che nel 1902 celebra Roseto.
Come fa del resto Enrico Abate, gran commis di Stato, nelle guide del
Touring di inizio secolo. Fino a quegli anni trenta del novecento,
quando la buona borghesia romana sceglie Roseto come sede di vacanze.
E dove anche colui che diverrà un gerarca di Mussolini, ma anche un
grande riformatore della scuola italiana, Giovanni Gentile, progetta
di costruirsi un villino. Costruzione il cui disegno, dovuto
all'architetto teramano Vincenzo Pilotti è stato riscoperto da Luigi
Felicioni (citato da Galantini) e tuttavia mai costruito proprio in
ragione delle sopravvenute cariche ministeriali di Gentile.
Ma gli anni trenta
rosetani sono anche nel libro di una scrittice dell'epoca, Beatrice
Testa, così come negli articoli di Raffaele D'Ilario tante volte
ricordato anche da Mario Giunco. Senza dire che anche la nonna
materna di Ennio Flaiano era di Montepagano. Ma qui Galantini si è
interrotto. Appunto agli anni trenta del novecento.
E dopo? Il dopo,
immodestamente, lo aggiungo io. Con i pini del lungomare Roma che
cadono senza essere sostituiti e la Villa comunale che, da qualche
anno, è diventata un “buco nero”. Per colpa di una politica che
ha incominciato a decadere in particolare (così ci metto dentro
tutti) dal 2011 ed è precipitata dal 2016 in poi. Di una politica –
aggiungo sempre io – che la storia la predica, magari in latino, ma
si guarda bene dal praticarla, foss'anche solo in dialetto rosetano.