lunedì 28 novembre 2022

Scusate, ma le "Commissioni pari opportunità" non dovrebbero avere un altro ruolo?

ROSETO. Ma siamo sicuri non sia una deriva? Beninteso, a fin di bene, ma una deriva. Di cosa si parla? Volevo dirlo da qualche tempo, ma si parla delle “commissioni pari opportunità” dei Comuni di questa bella parte costiera dell'Abruzzo che conosco. Sempre più spesso, queste si caratterizzano per l'organizzazione di manifestazioni. Per carità encomiabili, belle, realizzate con passione. Ma è questo il loro ruolo?

Ora, le “Commissioni pari opportunità” sono organismi di nomina politica presenti in ogni Comune. Rispecchiano i rapporti di forza esistenti nei consigli comunali. La loro funzione istituzionale dovrebbe essere quella di valutare se negli atti compiuti dall'amministrazione comunale, nelle sue deliberazioni, nei suoi regolamenti, nelle sue statuizioni vi sia discriminazione delle donne. Questa è la loro essenza. Vedere se nelle “tavole” dei deliberati comunali le donne siano rispettate nei loro diritti formali e sostanziali. Poi, suggerire ed adoperarsi per l'emancipazione ulteriore delle donne nelle azioni proprie di un Comune, nei servizi gestiti dall'Ente o appaltati all'esterno; nei rapporti di lavoro intrattenuti dall'Ente; nei riflessi sulla società cittadina delle decisioni prese dall'Ente.

Un compito enorme. Che porterebbe con sé un rapporto conflittuale, se serve, con l'amministrazione attiva. Ed invece che succede? Che questi organismi agiscono, di fatto, come delle associazioni culturali: organizzano convegni, mostre, spettacoli teatrali, serate di riconosimento a chi si è affermato nella società, eccetera. Per carita, si ripete, va benissimo. Ma la “cultura” è solo uno degli aspetti in cui si misura il rapporto uomo-donna. L'altro aspetto fondamentale è il lavoro, i servizi pubblici, l'assistenza se del caso.

Ecco, fossi una donna che si alza alle cinque di mattina per andare a lavorare nei servizi municipali, magari appaltati; fossi una donna che corre da mane a sera per conciliare lavoro, casa, figli, assistenza familiare; fossi una donna che guadagna poco lavorando tanto; fossi una lavoratrice che fa i turni di notte; fossi una piccola imprenditrice che si occupa di pulizie ed alle sei di mattina con il freddo che gela le mani è già al lavoro; fossi una donna tra loro, in cosa cambierebbe la mia vita assistere (ammesso che si reggano in piedi per andarci) ad uno spettacolo sulle donne, un premio sulle donne, una mostra sulle donne?

Benissimo gli spettacoli, le mostre e tutto il resto, allora. Ma tutto ciò, tecnicamente, ha a che fare con la “rappresentazione” culturale. Che dovebbre essere propria di chi fa cultura, chi fa spettacoli, chi fa quella attività. Cosa c'entra con tutto ciò un organismo di nomina essenzialmente politica che dovrebbe invece occuparsi d'altro? Se tutti fanno “cultura”, a tutti gli altri problemi chi ci pensa?

Anche se non farà piacere alle signore che si prodigano nelle attività appunto culturali essendo però titolari di un incarico di natura politica, forse qualcuno che dica queste cose, certo facendosi delle “nemiche” – si spera di no, ma si teme di si – magari viene utile. O almeno l'intento di queste righe tal è.

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