venerdì 27 novembre 2020

Il caffé da asporto

“Prego, vuole che glielo giri io?”; “Posso darle un dolcetto?”. Il caffé da asporto sta diventando un rito. Un'abitudine della vita da semi-reclusi. Alcune commesse dei bar di Roseto sono gentilissime. Non so come fanno. In qualcuna leggi negli occhi la preoccupazione. Per la salute, ma soprattutto per il futuro.

Secondo il “Sole24Ore”, in Abruzzo, durante il primo lockdown, sono state emesse 51 mila nuove carte di pagamento. Segno che la crescita degli acquisti on-line è vertiginosamente aumentata. Per “Save the Children”, sempre in abruzzo, due giovani su dieci non vanno a scuola, né frequentano corsi formativi, né lavorano. Sono i cosiddetti “NEET” (Not in employment, education, training). Il dato è in linea con quello nazionale del 22.2 per cento

Una condizione che la dice lunga sul funzionamento del mercato del lavoro e del sistema della formazione abruzzese. La pandemia non può che peggiorare tutto questo. Soprattutto per le donne, la cui condizione socio-economica è tornata indietro non si sa di quanti anni.

Circa la metà dei giovani tra i 25 ed i 34 anni, vive in casa con i genitori. È il triplo di Francia, Germania e Gran Bretagna, ove la percentuale è del 15-16 per cento. Non parliamo di Svezia e paesi del nord europa, che hanno percentuali di giovani che non riescono a lasciare la famiglia d'origine tra il 3 ed il 6 per cento.

Già prima della pandemia, i lavori per i ragazzi erano soprattutto precari e malpagati. Ora, dovranno accontentarsi di quel che trovano: o lavori per quattro denari o stai a casa, sarà quello che si sentiranno dire.

Quante donne erano piccole commercianti, bariste, titolari di imprese di ristorazione? Quante erano (sono) artiste, insegnanti di danza, estetiste, piccole artigiane? Ce la faranno? Dovranno mettersi tutte a consegnare pacchi di roba comprata on-line? Vivranno di sussidi? E ci saranno sempre i sussidi?

In quel caffé da asporto c'è un velo di tristezza compreso nel prezzo. In quel tovagliolo piegato in quattro e sbriciolato sul sedile della macchina, c'è lo smarrimento. In quel bicchierino di plastica bianca, ci sono impressi gli occhi che spuntano sopra una mascherina. Occhi che ti guardano. Forse ti interrogano. Magari si aspettano una risposta. Che tu non hai. Che tu, non sai.

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