ROSETO. Nelle città di
mare, quelle né grandi né piccole, toh? Roseto, il tempo scorre
diverso d'autunno e d'inverno. Più lento. Più slow. Passeggiare sul
lungomare nelle ore centrali del giorno, quando il mare s'è placato,
è d'incanto. E in questo “tempo”; in questo tempo “filosofico”;
in questo tempo di “senso”; s'incontrano dei “momenti”. Dei
momenti che io dico di “nicchia”. In senso buono, di nicchia. Uno
m'è parso di (re)incontrarlo oggi pomeriggio.
Mi si è presentato
sotto le vesti di una cerimonia molto accogliente. Organizzata con
sapienza. Da un “comitato” di cui cito, volendoli sintetizzare
con loro tutti, i primi due nomi: Patrizia Di Filippo ed Andreina
Salvatore. Una cerimonia in cui, credo, ci sia la regia non detta di
Teresa Ginoble, presidente del consiglio comunale. Non a caso la
location era quella: la sala consiliare del Comune. Con in
trasparenza, dalle vetrate, quel campanile della chiesetta di Santa
Maria Assunta che così “in scala” con un mondo “umano” da
commuovere un mollaccione come il sottoscritto, emotivo fino
all'inverosimile.
In quella sala si
inaugurava l'anno accademico della “università della terza età”.
Anzi, del “tempo libero”, come sottolineano le organizzatrici.
Che detta così non vuol dir nulla. Anche se sono 24 anni che i suoi
“corsi” si tengono a Roseto. E non conta neanche – per
l'economia di queste strambe righe – il ricco programma d'incontri.
Quel che colpisce è il “clima”. Un clima molto legato al mondo
della scuola. Ma soprattutto ad una certa versione della
“rosetanità”.
Vale a dire a quel
misto tra arte, danza, letteratura, Cultura, ma anche momenti
culinari (ottimo il buffet). Quel parellello tra la danza
appassionata di Dorina Di Marco ed una prolusione della scrittrice
Lucilla Sergiacomo tutta dedicata a Flaiano. E mentre lei parla di
Flaiano, io mi rigiro tra le mani l'opuscolo del programma. Ha
stampato in copertina una immagine del ceramista rosetano Giuseppe Di
Blasio, vissuto nella prima metà del Novecento. Una donna che oggi
diremo velata, e che invece portava la “fazzola”, il fazzoletto a
coprire i capelli. E non solo contro il freddo. In qualche modo
contro la bellezza. Per quel senso del pudore dell'epoca che –
magia dell'associazione - proprio in quel momento la scrittrice
Sergiacomo sta attribuendo come descritto anche da Flaiano.
Ecco, la malinconia
abruzzese. La malinconia di Flaiano. La malinconia che sento in me
stesso molte volte. Quella donna con la Fazzola che è la “madonna
dei sette dolori” di Flaiano. La donna abruzzese di cento anni fa,
affranta dal futuro dei figli, che partono emigranti o soldati. Che
partono per non tornare. Che partono per morire. Per morire in nome
del nulla camuffato da Patria (questo lo aggiungo io, consapevole di
quel che vuol dire). Donne di quell'Abruzzo atavico, che per un
momento ci parve sparire sotto le spoglie di un effimero benessere e
che, in altre forme, meno virulente per fortuna, torna periodicamente
ad ogni crisi.
Ed allora, per un
attimo dentro, la commozione si mischia alla rabbia. Anche per il
mondo, pur bello, che c'è in quest'Aula. Per il mondo che mi piace.
Ma che non è per tutti. È per chi sta bene. È per me, che sono in
certo senso fortunato di esserci. Ma non so se sarà per il domani.
Ecco, tutto questo
mi ronza in mente. Tutto questo che non c'entra nulla con stasera.
Con il bello de “La Fenice”, nome della università del tempo
libero di Roseto. Ma che c'entra con il libero fluire del mio
pensiero. Ecco perché mi piace abitare a Roseto. Perché mi offre
questi momenti. In cui per poco smetto di pensare. E mi fa bene.
Tu sei straordinaria, mia Ilustre Rettore. Trascinando del tuo cuore tutti questi belli pensieri, ci rallegra il cuore di stare un'altro anno a godere il piacere della tua reggia rinascendo com La Fenice con gioia e saggezza. Mille grazie.
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