Le scialuppe sono già state tirate in secca dalle spiagge. Anche per mancanza di manodoperanza. Le frotte di ragazzi che hanno passato l'estate a dire “Grazie...”, “Prego...”, “Si accomodi”... “Che le posso portare...”, eccetera, mentre servon bibite sotto il muso di masse sempre più sgarbate definite con il termine di “turisti”, sono già presi da altri doveri. I doveri scolastici. Ma non è a loro che scrivo. Loro hanno già un'età talmente presa dalla follia dei doveri a senso unico, che non capirebbero. Scrivo al nipote che non ho, avendo avuto la buona sorte di non avere figli.
Scrivo ai bambini di sei anni caricati di un peso scolastico da 40 ore settimanali e passa: 8 ore al giorno, come in fabbrica. Otto ore ogni giorno, per mesi nove, per anni minimo cinque. Chiusi dentro lo spazio di una scuola. Entrare con il buio d'inverno ed uscirne che è già notte. Sempre guardando le pareti di una stanza, al massimo una finestra, un cortile, un androne. Sottoposti a mille pratiche chiamate “extra-scolastiche”, diecimila “corsi” e “momenti formativi” che di formativo hanno sicuramente l'iper-competitività di un protagonismo didattico esasperato.
Scrivo a loro perché se dopo mesi ed anni di questa vulgata scolastica che succhia tempo alla vita; se dopo tale “educazione” o “ri-educazione”, non spaccano tutto nei pochi momenti che gli restano liberi dallo schermo di uno smartphone è un miracolo. Un miracolo dovuto al rimbambimento generale della società, non certo alla natura umana.
Scrivo a loro perché li ammiro: riescono a sopportare una società che li rinchiude in schemi; e in spazi; e in tempi; e in modelli che sarebbero stati inconcepibili appena mezzo secolo or sono. Che succhia il tempo libero e organizza la loro giornata come fossero già degli automi. Scrivo a loro per far i complimenti alle doti di resistenza che vantano. Con un'unico interrogativo: fino a quando? E soprattutto, fino a quale punto?
Buona domenica!
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