sabato 10 giugno 2023

Passeggiata panoramica di Montepagano: sarei andato solo se mi avessero invitato gli operai

ROSETO. Ieri sera volevo salire a Montepagano. Avevo sottomano due inviti. Entrambe per un unco taglio di nastro: quello del marciapiede panoramico realizzato sul lato nord-est del borgo-storico. Un invito proveniva dal sindaco, Mario Nugnes e l'altro era stato diramato, urbi-et-orbi-social, dal pro-sindaco, Angelo Marcone. E già questa doppia invitazione, a dir vero, mi metteva un po' in crisi. Che faccio – rimuginavo tra me e me – vado con l'invito del sindaco e magari si ombra il vice, oppure con l'invito del vice e forse se ne ha il sindaco? Mi si dice, infatti, che a codeste questioni di etichetta si tien assai dalle parti del palazzo reale, pardon del Palazzo di città.

Alla fine, quindi, non sono andato. Anche perché ero reduce da una puntatina al bel convegno sulle pinete marine organizzato dall'amica Genny Mummolo e, francamente, non avevo voglia di far altro. Ma soprattutto, non sono andato perché questa storia di intestarsi i meriti di un lavoro pubblico che acquista senso in funzione del panorama regalato dalla natura più che da tutto il resto, mi ha francamente stufato.

A mio modesto parere il “merito”, se così si può dire, di aver realizzato quel marciapiede e sistemato quella via, non è tanto di chi ha compilato le cartoffie per richedere il denaro pubblico necessario oppure elaborato i disegni conseguenti (ed in ogni caso questo merito, se c'è, va dato soprattutto a Simone Aloisi che l'idea propose al sindaco e vice-sindaco di allora, Sabatino di Girolamo e Simone Tacchetti); quanto attribuito, secondo il mio cono visivo, agli operai che il cemento di quel muro hanno impastato ed il pavimento di quel marciapiede hanno murato.

Senza di loro, nessuna suola più o meno firmata avrebbe potuto esser posata sul “belvedere”. Nessuna fascia più o meno attuale avrebbe potuto impettirsi di gloria politica alla ricerca del consenso, politico appunto. Nessun nastro più o meno tricolore avrebbe potuto immortalarsi al taglio di qualunque forbice. Nessuna foto o docu-films o video come diavolo si chiamano oggi, avrebbe potuto assaporare la ricercata e sollecitata condivisione social. Niente di tutto ciò sarebbe avvenuto senza quelle braccia di cui è probabile nessuno conosca i “proprietari”; senza quella fatica; senza quell'usura del corpo fisico che è poi la “condanna” (per alcuni) del lavoro.

Proprio ieri pomeriggio ascoltavo in macchina, su RadioTreRai, una bella intervista alla sociologa Francesa Coin. Diceva che in Italia solo il 4 per cento dei lavoratori è soddisfatto del proprio posto di lavoro: meno di tutto il mondo. Parlava dell'usura del corpo e della mente dei “nuovi” operai e lavoratori: quelli senza orario; quelli dal “salario-rubato”; quelli dallo “sconfinamento” del tempo di lavoro, costretti ad essere di fatto a disposizione delle aziende per l'intera giornata vedendose pagata la metà appena.

Tutto ciò non riguarda il marciapiede di Montepagano, ovvio. Ma a questo io pensavo mentre decidevo se andare o no. A questo e non ai like. A questo e non ai video. A questo e non alle fasce. A questo e non ai nastri. Ed alla fine non sono andato. In senso di solidarietà a chi non l'ha mai chiesta e mai la chiederà; a chi non è nominato e mai lo sarà; a chi fatica davvero per una paga sempre insufficiente rispetto al sacrificio del proprio corpo e della propria salute.

Per loro e nessun altro sarei andato. Anche perché con quei pensieri in testa, mi sarei sentito a disagio nel festeggiare presumo – almeno stando alle foto ufficiali – con chi non ha lavorato materialmente al soggetto dell'evento.

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