MARTINSICURO. Questa mattina sono andato a Martinsicuro. C'era un convegno sul cicloturismo, organizzato dalla Fiab (associazione di ciclisti), dal WWF, dal comune di Martinsicuro e dall'Ordine degli architetti di Teramo. Incontro animato, soprattutto, da Raffaele Di Marcello, presidente degli architetti teramani, appassionato di cicloturismo ed esperto del settore da tempi non sospetti.
Sono andato, anche,
perché volevo ascoltare qualcosa di diverso. Che non fosse questa
nauseante caccia alle streghe di questi giorni “virali”; questo
maccartismo di ritorno; questo stranamore da pieni poteri sanitari; questa voglia di “arresti domiciliari” che non è, come
dicono, frutto di ignoranza (viene per lo più da gente normalmente
istruita), ma di comprensibilissima paura; di umana fifa blu di
ammalarsi. Ed attenzione, non è che chi scrive sia coraggioso:
tutt'altro. Semplicemente è che il sottoscritto – per scelta –
non ha nessuno e non permette a nessuno, men che meno alla vita, di
ricattare la sua libertà, che per me vale più della vita medesima.
Ed allora torniamo
a Martinsicuro. A questo convegno ottimista sul futuro. Dove
ambientalisti (ad esempio Dante Caserta, esponente del WWF),
amministratori locali (ad esempio i sindaci di Pineto, Tortoreto e
Martinsicuro); albergatori e rappresentanti di categoria, politici e
tecnici (è venuto a salutare anche l'assessore regionale Mauro
Febbo), si sono confrontati sui turisti in bici. Turisti per lo più
benestanti, cui piace mangiar bene, che spendono belle cifrette.
Turisti, si è
detto, che potrebbero contribuire a non far morire il commercio
urbano e le vie delle città, ammesso che nel frattempo (questo lo
aggiungo io) non ci sia riuscito il virus ed i provvedimenti
conseguenti spesso assurdi. A patto, però, che gli amministratori
pubblici non facciano le piste ciclabili e poi le abbandonino. A
patto che inaugurazione faccia rima con manutenzione e non viceversa.
A patto che non le facciano tanto per spendere soldi che si ritrovano
ad esse destinati. Che non le facciano per moda o per slogan, oppure
dove il territorio è proprio brutto e non ci va nessuno.
Le facciano
insomma, come dice l'architetto Di Marcello, senza improvvisarsi
“tutti esperti” ora che è facile. Le facciano con sale in zucca,
tanto per usare un detto che si capisce. Magari utilizzando le strade
secondarie poco frequentate che si prestano di per se, con l'aggiunta
di una buona segnaletica ad oc. Le facciano “per le bici”, non
come a Montesilvano – dice sempre Di Marcello – ove il nuovo
ponte sul Saline è puramente veicolare con una stricetta ciclabile
più stretta del normale. Tenendo presente che i 130 chilometri della
“coast-to-coast” abruzzese, pensata ai tempi del governatore
regionale Gianni Chiodi tra l'altro, un ciclista ben dotato la
percorre in un giorno, due al massimo, quindi...
Le facciano,
allora, queste benedette vie per bici, pensando un attimo alla
bellezza. Prevedendole nei piani urbanistici, in modo che non si
accavallino o si interrompano bruscamente. Le facciano bene, insomma.
Come dire una speranza. Ma anche un sollievo. In questi giorni da fine
del mondo; da notte della ragione; da atteggiamenti come se non vi
sia un domani, sentir parlare di cicloturismo; esser insieme ad altri
umani in una sala; è di per se una Terapia. L'uomo, malgrado certi
atti di sindaci, governatori, premier vari, è un essere sociale:
isolarlo vuol dir ammazzarlo, più e peggio di qualsiasi virus.
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