ROSETO. Per le vie
accidentali, è tornato in consiglio comunale il campanile di
Montepagano. È successo oggi pomeriggio, in occasione del
riconoscimento di un debito fuori dal bilancio. Ma andiamo con
ordine.
Anzitutto va detto
che il campanile di Montepagano è un simbolo, oltre che un
monumento. Fa parte della trilogia di opere rinascimentali che
comprende il campanile di Teramo e di Atri. È un esempio della scuola
lombarda in abruzzo. Caratteristica per “l'attacco al cielo” (cosi
chiamano gli architetti il tetto degli edifici) che tende alla
cuspide. Non certo cuspide “tirata” al gotico, ma nemmeno al
tardo antico. Insomma, uno storico dell'arte potrebbe trovarvi
“citazioni” e “interpretazioni” che fanno assonanza con il
cromatismo della storia locale.
L'amministrazione
del sindaco Pavone, dopo qualche tempo, riuscì ad ottenere dalla
Regione, allora presieduta da Gianni Chiodi, un primo finanziamento.
Fu incaricata del progetto una sensibile e raffinata architetta, tra
l'altro di origini Paganesi: Laura Marini. La quale elaborò un
progetto di restauro e di miglioramento sismico. Attenzione,
sottolineo “miglioramento sismico”. E lo sottolineo perché
questa sera, in Aula, il consigliere Simone Aloisi ed il vicesindaco
Simone Tacchetti, mi pare abbiano poco evidenziato, se non proprio
sottovalutato, l'aspetto del consolidamento sismico presente con ben
quattro piani rigidi dentro il progetto di Laura Marini.
Ma siccome siamo in
Italia e tutto finisce ad ogni elezione, quel progetto dovette
aspettare circa un anno a cavallo delle elezioni del 2016 per veder
la consegna dei lavori. E, per sua sfortuna, i lavori iniziarono pochi
giorni prima che lo sciame sismico del terremoto di Amatrice del 2016
provocasse alcuni dissesti e distacchi nel campanile di Montepagano.
A quel punto il Comune bloccò tutto e fece intervenire tutta la
trafila della protezione civile, con ingabbiamento della torre e sua
successiva cerchiatura di sicurezza.
Nel frattempo,
però, la progettista era stata convocata dall'Ente stesso ed
invitata a redigere d'urgenza una variante progettuale. L'incarico fu
dato, come si dice, “senza impegno di spesa” (di qui il debito
fuori bilancio). La professionista studiò quindi un nuovo progetto
post-sisma che il Comune
utilizzò per chiedere (ed ottenere) un cospicuo finanziamento da
parte del ministero dei beni culturali teso ad un più ampio restauro
della torre. Restauro di cui si è ancora in attesa perché i fondi,
nel frattempo, sono stati posticipati dal Governo al 2021.
E qui si innesca un
altro requisito della burocrazia italiana. Quel secondo progetto,
infatti, fu commissionato, ottenuto ed utilizzato dall'Ente, ma la
progettista (fino a questa sera) non fu pagata. Ha dovuto attendere
appunto un paio d'anni affinché il consiglio comunale si decidesse a
ricoscere quel suo sacrosanto credito. E forse dovrà ancora
attendere del tempo per i passaggi attuativi della delibera,
che a questo punto sono però soltanto tecnici.
Questa la cronaca,
come si diceva. Cui va aggiunta la polemica della discussione in Aula
di oggi. L'ex-sindaco Pavone, infatti, ha ribadito che se i lavori
fossero stati eseguiti in tempo il terremoto non avrebbe arrecato
danni alla torre. Mentre Aloisi e Tacchetti hanno ribattuto che
l'amministrazione Di Girolamo, entrata in carica appena due mesi
prima dello sciame sismico del 2016, non avrebbe comunque fatto in
tempo a portare avanti quei lavori. I quali lavori, hanno aggiunto,
sarebbero stati resi obsoleti dal sisma stesso.
E qui personalmente
dissento. Secondo me, dai dati tecnici che ricordo di quel progetto,
l'intervento di Laura Marini avrebbe salvato il campanile. Che non si
sia fatto in tempo, d'accordo. Ma perché quest'oggi, da parte dei
due citati interventi di Aloisi e Tacchetti, quel progetto sia stato
elogiato, ma al contempo di fatto sminuito da termini impropri
(“progetto vecchio”, “non risolutivo”, quasi preistorico)
proprio non l'ho capito. Francamente quei termini non hanno aggiunto
proprio nulla al dibattito.