martedì 19 novembre 2019

Università della terza età. E qualche stramba (mia) divagazione


ROSETO. Nelle città di mare, quelle né grandi né piccole, toh? Roseto, il tempo scorre diverso d'autunno e d'inverno. Più lento. Più slow. Passeggiare sul lungomare nelle ore centrali del giorno, quando il mare s'è placato, è d'incanto. E in questo “tempo”; in questo tempo “filosofico”; in questo tempo di “senso”; s'incontrano dei “momenti”. Dei momenti che io dico di “nicchia”. In senso buono, di nicchia. Uno m'è parso di (re)incontrarlo oggi pomeriggio.

Mi si è presentato sotto le vesti di una cerimonia molto accogliente. Organizzata con sapienza. Da un “comitato” di cui cito, volendoli sintetizzare con loro tutti, i primi due nomi: Patrizia Di Filippo ed Andreina Salvatore. Una cerimonia in cui, credo, ci sia la regia non detta di Teresa Ginoble, presidente del consiglio comunale. Non a caso la location era quella: la sala consiliare del Comune. Con in trasparenza, dalle vetrate, quel campanile della chiesetta di Santa Maria Assunta che così “in scala” con un mondo “umano” da commuovere un mollaccione come il sottoscritto, emotivo fino all'inverosimile.

In quella sala si inaugurava l'anno accademico della “università della terza età”. Anzi, del “tempo libero”, come sottolineano le organizzatrici. Che detta così non vuol dir nulla. Anche se sono 24 anni che i suoi “corsi” si tengono a Roseto. E non conta neanche – per l'economia di queste strambe righe – il ricco programma d'incontri. Quel che colpisce è il “clima”. Un clima molto legato al mondo della scuola. Ma soprattutto ad una certa versione della “rosetanità”.

Vale a dire a quel misto tra arte, danza, letteratura, Cultura, ma anche momenti culinari (ottimo il buffet). Quel parellello tra la danza appassionata di Dorina Di Marco ed una prolusione della scrittrice Lucilla Sergiacomo tutta dedicata a Flaiano. E mentre lei parla di Flaiano, io mi rigiro tra le mani l'opuscolo del programma. Ha stampato in copertina una immagine del ceramista rosetano Giuseppe Di Blasio, vissuto nella prima metà del Novecento. Una donna che oggi diremo velata, e che invece portava la “fazzola”, il fazzoletto a coprire i capelli. E non solo contro il freddo. In qualche modo contro la bellezza. Per quel senso del pudore dell'epoca che – magia dell'associazione - proprio in quel momento la scrittrice Sergiacomo sta attribuendo come descritto anche da Flaiano.

Ecco, la malinconia abruzzese. La malinconia di Flaiano. La malinconia che sento in me stesso molte volte. Quella donna con la Fazzola che è la “madonna dei sette dolori” di Flaiano. La donna abruzzese di cento anni fa, affranta dal futuro dei figli, che partono emigranti o soldati. Che partono per non tornare. Che partono per morire. Per morire in nome del nulla camuffato da Patria (questo lo aggiungo io, consapevole di quel che vuol dire). Donne di quell'Abruzzo atavico, che per un momento ci parve sparire sotto le spoglie di un effimero benessere e che, in altre forme, meno virulente per fortuna, torna periodicamente ad ogni crisi.

Ed allora, per un attimo dentro, la commozione si mischia alla rabbia. Anche per il mondo, pur bello, che c'è in quest'Aula. Per il mondo che mi piace. Ma che non è per tutti. È per chi sta bene. È per me, che sono in certo senso fortunato di esserci. Ma non so se sarà per il domani.

Ecco, tutto questo mi ronza in mente. Tutto questo che non c'entra nulla con stasera. Con il bello de “La Fenice”, nome della università del tempo libero di Roseto. Ma che c'entra con il libero fluire del mio pensiero. Ecco perché mi piace abitare a Roseto. Perché mi offre questi momenti. In cui per poco smetto di pensare. E mi fa bene.

1 commento:

  1. Tu sei straordinaria, mia Ilustre Rettore. Trascinando del tuo cuore tutti questi belli pensieri, ci rallegra il cuore di stare un'altro anno a godere il piacere della tua reggia rinascendo com La Fenice con gioia e saggezza. Mille grazie.

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