Un primo step
avviene a livello della Regione, che è poi l'Ente che in effetti
gestisce i fondi europei. La Regione, in genere, comincia con
l'emanare un “avviso pubblico”. Poi, può succedere che lo
“integra”, magari lo “corregge”, inevariabilmente lo
“proroga”.
Nel frattempo,
cominciano ad arrivare le proposte da parte dei soggetti,
generalmente privati, interessati ad aggiudicarsi i bandi.
Naturalmente possono esser della partita anche Comuni o enti
pubblici. A quel punto, di solito, viene stilata una “graduatoria”,
ovviamente comunicata ai partecipanti. Già per queste cose, con
possibili “scorrimenti” delle graduatorie stesse, possono passare
uno o due anni.
Trascorsi due o tre
anni, quelli che dovrebbero “attuare” i cosidetti interventi
contro la povertà, possono decidere di associarsi in ulteriori
organismi burocratici, facendo delle vere e proprie “società di
scopo”, con enti, cooperative, organizzazioni sociali, eccetera.
Seguono ovviamente, lettere, verbali, riunioni, procedure e così
via.
Alla fine della
fiera, arriverà qualcosa ai poveri, direte voi? Calma. Perché al
netto del costo di tutta questa trafila può succedere che un terzo
buono dei soldi sia servito, appunto, per l'autoconservazione di
tutto l'apparato. E, se va bene, a qualche malcapitato diversamente
giovane gli toccano più o meno un 600 euro mensili per qualche mese
neanche come sussidio, ma in cambio di un lavoretto che gli viene
chiesto di fare. Un lavoretto che il più delle volte non sarà utile
né a lui né agli altri. Ma servirà a mandare avanti la baracca.
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