giovedì 17 ottobre 2019

Ecco come combattono la povertà

Volete sapere come si combatte la povertà ai tempi del “Evviva l'Europa”, “Evviva l'Italia”? Bene, basta prendere un qualsiasi provvedimento di un qualunque ente che nel Bel Paese si occupa del problema. Scoprirete che tra lo stanziamento europeo e l'utilizzatore finale, per dir così, ci sono decine di passaggi burocratici ed altrettante intermediazioni istituzionali naturalmente onoerose.

Un primo step avviene a livello della Regione, che è poi l'Ente che in effetti gestisce i fondi europei. La Regione, in genere, comincia con l'emanare un “avviso pubblico”. Poi, può succedere che lo “integra”, magari lo “corregge”, inevariabilmente lo “proroga”.

Nel frattempo, cominciano ad arrivare le proposte da parte dei soggetti, generalmente privati, interessati ad aggiudicarsi i bandi. Naturalmente possono esser della partita anche Comuni o enti pubblici. A quel punto, di solito, viene stilata una “graduatoria”, ovviamente comunicata ai partecipanti. Già per queste cose, con possibili “scorrimenti” delle graduatorie stesse, possono passare uno o due anni.

Trascorsi due o tre anni, quelli che dovrebbero “attuare” i cosidetti interventi contro la povertà, possono decidere di associarsi in ulteriori organismi burocratici, facendo delle vere e proprie “società di scopo”, con enti, cooperative, organizzazioni sociali, eccetera. Seguono ovviamente, lettere, verbali, riunioni, procedure e così via.

Alla fine della fiera, arriverà qualcosa ai poveri, direte voi? Calma. Perché al netto del costo di tutta questa trafila può succedere che un terzo buono dei soldi sia servito, appunto, per l'autoconservazione di tutto l'apparato. E, se va bene, a qualche malcapitato diversamente giovane gli toccano più o meno un 600 euro mensili per qualche mese neanche come sussidio, ma in cambio di un lavoretto che gli viene chiesto di fare. Un lavoretto che il più delle volte non sarà utile né a lui né agli altri. Ma servirà a mandare avanti la baracca.

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