sabato 26 ottobre 2019

Il mito del Risorgimento nell'età della post-democrazia?

ATRI. Circa 160 anni fa, un uomo di Atri, Pietro Bajocchi, partecipò alla spedizione dei “Mille”. Segui cioè Garibaldi nella guerra ai Borboni. Per unificare l'Italia. Un secolo e mzzo dopo la sua città gli ha dedicato un busto. Scoperto questa mattina con le fanfare, la Fasce tricolori e quant'altro è d'uopo in tal frangenti.

Sono andato a vedere. Per guardare le facce dei ragazzi delle scuole scortati dagli insegnanti a presenziare alla manifestazione. Per vedere l'effetto di questa riproposizione del “mito” del risorgimento nell'epoca della post-democrazia. Se effettivamente induceva le virtù civiche declamate nei discorsi ufficiali o solo applausi di routine. Se un busto scultoreo potesse tramettere l'dea di un modello eroico da contrappore (senza volerlo, suppongo) alla gioventù attuale. Insomma una storia dall'alto. Cui inchinarsi come si fosse uno preso dalla folla di una realtà odierna considerata piccola piccola.

Si, perché – fatte salvi meriti e buone volontà di tutti, organizzatori benemeriti e partecipanti ufficiali – c'è sempre tal rischio in queste cose. Perché non ci si pone mai la domanda: ma i “Mille” di allora, i Patrioti Garbaldini, sarebbero stati contenti dell'Italia che è venuta dopo? Era quella l'Italia per cui avevano sgauinato le baionette fino a rimetterci la pelle? E questa Italia di oggi, quella rappresentata dall'ufficialità delle occasioni ufficiali, rispecchia quelle aspettative? O anche le aspettative di rinnovamento del 1945-1948? O persino, avvicinandoci a noi, le speranze di riforma del 1992-93?

La risposta – se siamo sinceri fino in fondo – è: NO. L'Italia per cui ha combattuo Garibaldi non era quella dei Savoia venuti dopo. L'Italia per cui si sono battui dal 1943 al 1945 non era quella del dopoguerra. L'Italia che aveva visto una lume nel 1992-1993 non era quella che ha prodotto l'esatto opposto oggi. Perché l'Italia è così: vive a sprazzi, poi torna nella quotidianeità.

Come torneranno nella quotidianeità quei ragazzi di questa mattina, presenti per obbligo scolastico. Presenti per dovere di studio. Quello studio che ne conduce a centinaia di migliaia ad emigrare dopo il diploma o la laurea perché qui non c'è lavoro. E quel che c'è è distribuito per caste, per ceti, per censo. Esattamente come lo era ai tempi dei Borboni, e forse peggio di allora.

Ecco si, ricordiamo, retoriamo, bandieramo, intoniamo inni e lodi, facciamoci i selfie. Ma ricordiamoci anche dell'oggi. Di come viviamo. Perché se dovessimo applicare alla lettera gli ideali sociali del risorgimento e della Costituzione, non so con chi dovremmo prendercela. O meglio, temo di intuirlo.

Nessun commento:

Posta un commento

La parità di genere è fatto sociale

CHIETI. Un'interessante prospettiva sugli studi di genere è stata offerta dal filoso Lorenzo Gasbarrini durante un incontro promosso dal...