giovedì 24 dicembre 2020

Perché il presepe di Castelli fa parlare

Il presepe castellano esposto a piazza S.Pietro ha suscitato una certa eco di stampa. Non si capisce la questione, a mio avviso, se non si inquadra nel suo tempo. Quel presepe nasce all'inizio degli anni '70, anni di contestazione giovanile. In quel periodo, di straordinaria libertà mai più recuperata, si tendeva a demolire il passato; tutto il passato, compreso i suoi simboli, perché lo si considerava autoritario e repressivo.

Allora, per scampare al tabula rasa, molti simboli venivano riadattati, rimodernati, pensando così di esprimere la “rivoluzione”, come un camaleonte che cambia pelle per essere accettato. Naturalmente la rivoluzione non fu tale; fu solo un momento di scapigliatura. I simboli, infatti, riadattandosi, sopravvivevano a sé stessi, a volte in termini involontariamente contro-rivoluzionari. Tanto è vero che l'esito di quella stagione, a partire dagli anni '80 del 900, ed in modo sfacciato oggi, è stata la reazione e la restaurazione più bieca.

I nipotini del '68, ed i superstiti (politicamente) dell'epoca stessa, sono oggi infatti quelli che esprimono la politica più autoritaria che mai sia stata data. E lo fanno, in massima parte, da sinistra. Sembrerebbe che il desiderio più grande per le Feste di quell'area politica sia infatti quello di essere controllati militarmente. Ed attenzione, non è una novità: perché già alla fine degli anni '70, sotto altro attacco – all'epoca terroristico – fu sempre da quel lato che si invocarono ed ottennero leggi eccezionali. Per fortuna nostra (e loro) oggi ancora non vi riescono del tutto: ma non per merito (politico) loro, ma perché ciò che loro stessi definiscono come la destra è fortunatamente assai più libertaria di quanto ai loro occhi medesimi appaia.

Ecco, il presepe di Castelli è simbolo di un momento in cui si credeva di cambiare il mondo. Il mondo, invece, è sempre lo stesso. E, in qualche frangente, è un mondo da schifo autentico.

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