martedì 7 gennaio 2020

Dalle paludi del '700 allo splendore degli anni '30 del secolo scorso. L'università della terza età riparte

Sandro Galantini

ROSETO. La carrozza dell'intrepida nobildonna Margherita Sparapani Gentili Boccapadule viaggiava con una ruota nell'acqua e l'altra nel fango alla fine del Settecento su quella che al tempo dei romani fu la consolare adriatica. Con i fiumi da guadare se non a nuoto quasi, visto che di ponti non se ne vedeva più neanche l'ombra.

È stato un lungo excursus del turismo attraverso documenti storici, quello che Sandro Galantini, giornalista e divulgatore di storia, ha portato questo pomeriggio nell'affollata aula consiliare di Roseto. Invitato dall'attivissima “Università rosetana della terza e del tempo libero”, guidata dall'infaticabile professoressa Patrizia De Filippo. La quale, sia detto per inciso, ha in serbo non poche novità per la ripresa post-natalizia che verranno ufficialmente annunciate nei prossimi giorni.

È partito dal 1670, il professor Sandro Galantini (per un decennio – dico giusto per chi non lo conoscesse – anche addetto stampa del comune di Giulianova); da quel Richard Lassel, sacerdote inglese che sdoganò un po' il termine “tour” dal pellegrinaggio religioso ai viaggiatori del “Gran Tour”. I quali viaggiatori consideravano l'Abruzzo costiero del tutto marginale, infestato com'era da paludi malariche e brigantaggio nonché popolato da gente piuttosto rozza.

Così, dove oggi c'è Roseto non v'era che qualche casa di fango e paglia, fungente da “posta” per il cambio dei cavalli. Come descriveva, sempre nel '700, l'illuminista molisano Giuseppe Maria Galanti. Tanto insalubre che un editto del 1763 imponeva una distanza di mille passi dalla spiaggia per la coltivazione della vite affinché il vino non prendesse di marcio.

Dopo S.Benedetto del Tronto e le al contrario evolute Marche, era dunque Giulianova ad assumere una certa centralità, forse perché rialzata sulla costa. E, più a sud, Montepagano, di cui comincia a parlare un intellettuale francese, Valleroy, nel 1826. E più ancora ne parla, di Montepagano, Cesare Malpica, avvocato e giornalista napoletano cui si deve forse una delle prime citazioni del campanile paganese con tutta la vicenda – a metà tra leggenda e realtà – di papa Sisto V°.

Ma nel frattempo c'era stato uno scienziato, Michele Tenore, che aveva catalogato un essenza arborea che molto dirà (e dice ancora) dalle nostre parti: il pinus. Vale a dire quei pini autoctoni, tipici del luogo, che furono massicciamente piantati nel ventennio fascista proprio a fini turistici e seguitati a coltivare fino ad un quarantennio fa. Quelle maestose e bellissime piante, cioè, che i sindaci e gli assessori di oggi mozzano brutalmente, decapitano e segano senza pietà perché rovinerebbero le strade e cascerebbero sulle auto durante i temporali. Ma questa dell'ignoranza irreparabile della politica odierna è altra storia, cui questo post accennerà solo in chiusura.

Per tornare allora a Galantini, va un cenno a Richard Cramen, viaggiatore inglese di cui v'è traccia di passaggio qui nel 1777, a nome di quella speciale formazione accademica anglosassone che voleva i rampolli di Sua Maestà viaggiatori nelle zone più disagiate onde imparar l'arte del governo delle terre coloniali. Giù giù per Gregorio De Filippis Delfico ed alle cose che cominciano a cambiare nel secondo Ottocento, come si evince dalle prime guide turistiche e da ser Charles Mcfarland. Ma qui siamo alle soglie della ferrovia e dell'unità d'Italia, quando il Paese cambia e con esso il viaggiare.

Arrivano allora le professioni borghesi. I viaggiatori diventano “villeggianti”. Si fanno la villa, stile liberty o neoclassico. Montepagano perde via via importanza e nascono Le Quote, poi Rosburgo. Un paese di villini, pini e roseti. Una località bellissima che, negli anni venti e trenta del Novecento rivaleggia con Viareggio e le più note località turistiche italiane. Come riportano guide e riviste che Galantini enumera ed illustra.

Si giunge quindi ad Ascanio Branca, giornalista e deputato, che nel 1902 celebra Roseto. Come fa del resto Enrico Abate, gran commis di Stato, nelle guide del Touring di inizio secolo. Fino a quegli anni trenta del novecento, quando la buona borghesia romana sceglie Roseto come sede di vacanze. E dove anche colui che diverrà un gerarca di Mussolini, ma anche un grande riformatore della scuola italiana, Giovanni Gentile, progetta di costruirsi un villino. Costruzione il cui disegno, dovuto all'architetto teramano Vincenzo Pilotti è stato riscoperto da Luigi Felicioni (citato da Galantini) e tuttavia mai costruito proprio in ragione delle sopravvenute cariche ministeriali di Gentile.

Ma gli anni trenta rosetani sono anche nel libro di una scrittice dell'epoca, Beatrice Testa, così come negli articoli di Raffaele D'Ilario tante volte ricordato anche da Mario Giunco. Senza dire che anche la nonna materna di Ennio Flaiano era di Montepagano. Ma qui Galantini si è interrotto. Appunto agli anni trenta del novecento.

E dopo? Il dopo, immodestamente, lo aggiungo io. Con i pini del lungomare Roma che cadono senza essere sostituiti e la Villa comunale che, da qualche anno, è diventata un “buco nero”. Per colpa di una politica che ha incominciato a decadere in particolare (così ci metto dentro tutti) dal 2011 ed è precipitata dal 2016 in poi. Di una politica – aggiungo sempre io – che la storia la predica, magari in latino, ma si guarda bene dal praticarla, foss'anche solo in dialetto rosetano.

1 commento:

  1. Grazie Ugo per il tuo resoconto molto ricco e attento (come sempre). E grazie al preziosissimo lavoro del Prof. Galantini, di studio e riscoperta della nostra storia e delle nostre origini. Importantissimi per la nostra stessa identità e senso di appartenenza comune.

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