mercoledì 6 marzo 2024

Per dir del voto (e di Roseto)

ROSETO. “Un pro-console di Giorgia, di scarsa cultura ed anche un po' fascista”. Non si dice proprio così, ma questo è il tono di certa pubblicistica latamente di sinistra verso Marco Marisilio, presidente uscente ricandidato da Fratelli d'Italia alla guida dell'Abruzzo. Cui la medesima pubblicistica contrappone invece lo status culturale e manageriale dello sfidante di centro-sinistra, l'ex-rettore Luciano D'Amico.

Ma sarà proprio così? Proviamo a ragionare oltre l'immediatezza del voto.

Sappiamo, ad esempio, che in Abruzzo mancano case popolari. Quante ne costruiranno i due nel caso toccasse a loro? Non lo sappiamo. Nessun numero preciso di appartamenti reali ci viene garantito. Si dubita saranno in quantità sufficiente sia se vince l'uno sia l'altro.

È noto poi che scarseggiano posti letto negli ospedali. Tanto che i malcapitati vengono spesso ricoverati sulle barelle dei pronto soccorso per giornate intere. Ma non si sa se le corsie ospedaliere verranno riaperte, visto che sia la destra che la sinistra in passato le hanno tagliate.

Si constata inoltre che le aree interne dell'Abruzzo si stanno spopolando. I giovani vanno all'estero. O al Nord. I Parchi, in trent'anni di esistenza, non hanno fermato la fuga. Ma da una parte però si insiste con l'ambientalismo tout-court come soluzione, dall'altra si propone uno sviluppo che non sviluppa.

In realtà, le più o meno rissose coalizioni, puntano tutto sugli equilibri interni di potere. Soprattutto il cosiddetto “campo largo” è talmente largo che nemmeno i suoi protagonisti né conoscono i confini. Basta vedere cosa sono stati capaci di dirsi Conte e Calenda malgrado fossero insieme in campagna elettorale.

Se ci dicessero quali sono i nomi dei presidenti regionali dal 1995 ad oggi, pochi li ricorderebbero. Perché i problemi sono stati quasi sempre gli stessi e quasi sempre irrisolti. Dalla destra come dalla sinistra. La battaglia regionale è dunque soprattutto una verifica interna alle due nemmeno tanto opposte burocrazie politiche, per valutare il loro valore d'influenza.

A Roseto poi, c'è una battaglia nella battaglia. Qui, se prevale D'Amico, si rafforza all'inverosimile un polo di potere imperniato di fatto su due personaggi della politca locale: Giulio Sottanelli ed Enio Pavone. Hanno scommesso tutto sulla vittoria di D'Amico. Se passa la loro linea e Pavone esce bene dal voto rosetano, in Comune, di fatto, si consolida un monopolio-politico di matrice Calendiana che sarà non scardinabile per anni. Purtroppo, alleati ed avversari non si rendono conto di quanto sia diabolico (politicamente) questo piano. Se ne accorgeranno dopo, quando tenteranno vanamente di contrapporsi, ma sarà troppo tardi per loro.

Per loro e per la città. Perché non è mai utile, per una città, avere un potere solo, un potere di fatto non contendibile. Diminuscono gli spazi di pluralismo. E con essi si stabilizza non solo un assetto di potere cittadino, ma una politica, soprattutto urbanistica, che passa ad esempio per la cosiddetta “palazzata a mare”, la lottizzazione futura delle ex-fornaci, un piano spiaggia probabile devastante per l'arenile, eccetera.

Per paradosso, da sinistra, si avrà una politica che l'ambientalismo lo emarginerà, appena, in alcune parti dell'ex-riserva Borsacchio, dando libero spazio alle cementificazioni nei punti più sensibili della città.

Questo è in gioco a Roseto: un assetto politico ed una politica urbanistica. Che questa volta ha scommesso, per esplicare i propri legittimi disegni di prevalenza politica, sul centro-sinistra e Luciano D'Amico in particolare. Che ne siano consapevoli o meno gli elettori, conta fino ad un certo punto.

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