sabato 4 novembre 2023

Lo sfasciume pendulo del post-umano

E poi parte il solito cliché. Dopo ogni alluvione o disastro più o meno naturale, in radio e TV, va in onda il giorno dell'orgoglio, della ripartenza, del cuore grande del volontariato. E cosa potresti fare, il giorno appresso, se non ripartire? Rimanere nel fango, forse? Ed a questo si affiancano invariabilmente le interviste ben disposte verso i sindaci, immancabilmente eroi, inevitabilmente amatissimi dalla gente.

Come non fossero loro, gli amministratori locali dei disgraziati Comuni italiani, i responsabili di quel consumo del suolo che d'altra parte, nelle stesse ore, con spudorato senso della contraddizione, si imputa a corresponsabile dei disastri stessi. Come non fossero i sindaci a dare i permessi per costuire più o meno ovunque. Come non fossero loro ad approvare piani regolatori che consentono tutto ed il contrario di tutto e se non lo consentono a cambiarli a posteriori con le famigerate varianti urbanistiche.

Se c'è in Italia una potestà quasi onnipotente sul governo del territorio, questa è dei sindaci e dei presidenti delle Regioni subito dopo. Ma in quest'epoca post-umana, nel senso del post-umanesimo (cit. ad es. Rosy Braidotti) i confini della ragione sfumano nel cyberspazio. E così i sindaci possono fare il bello e cattivo tempo, con la fortuna di farsi passare pure per vittime piuttosto che per protagonisti pressocchè assoluti del disastroso governo del territorio, atavica piaga di un Paese che già a fine Ottocento uno studioso e senatore, Giustino Fortunato, definiva dello “Sfasciume pendulo”.

Lui si riferiva solo alla Calabria: adesso è tutto il Paese: abbiamo fatto progressi.

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