Chi ha memoria d'un altro marzo, altrettanto gelido, quello del 1999, ricorderà la Guerra del Kosovo, le bombe su Belgrado. Allora, in me, la guerra cambiò le prospettive delle cose. Questa di oggi meno. Per due motivi: il disincanto dell'età e due anni di pandemia, che hanno già scavato il fossato.
Allora la guerra mandò in secondo piano i problemi del giorno per giorno. Dai Tg sparirono le sfilate di moda, il tema dell'apertura festiva dei negozi (è già, nacque allora), persino il pallone subì un ridimensionamento. Adesso tutto questo succede già da due anni. Siamo preparati.
Di fronte ai drammi veri delle donne e degli uomini colpiti dalle bombe, siamo più corazzati. Così come sopportiamo molto meglio disinformazione e propaganda, che ogni guerra reca in sé. Di pari ad allora c'è l'impotenza del cittadino comune. Cosa potevano fare quelli che la guerra non la volevano? Che non stanno né con gli uni né con gli altri, ma con l'Uomo? Nulla, allora come oggi.
Perché in realtà l'Uomo conta quanto un ficosecco. Sempre. Immancabilmente nella storia. Eppure le armi non hanno mai risolto nulla. Se non complicato ancor più la vita ai poveri cristi. Eppure si individuano sempre i “buoni” ed i “cattivi”. Anche allora c'erano i “pacifisti” di sinistra che gridavano la necessità delle bombe “giuste”, perché all'epoca c'era il governo d'Alema. La storia si ripete. Sempre.
Mentre
scrivo ho la televisione accesa. Sulla guerra, naturalmente. Ma non la
guardo. Non l'ascolto. È come un sottofondo. Non mi interessa quel
che dice. Ne quale canale trasmetta. È soltanto un modo d'ingannare il
tempo. Come questo post, del resto. Solo passatempo.
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