Nei racconti di mia nonna il 25 Aprile era soprattutto un episodio. Mia nonna era una contadina. Non sapeva cosa fossero fascisti e comunisti. Per lei c'era la terra e la voglia di campare un po' meglio. Il 25 Aprile era per lei soprattutto la fine della guerra, delle bombe, dei “tedeschi che razziavano le bestie nelle stalle”, più che della riconquistata libertà, che non le cambiava poi molto le quotidiane condizioni.
“Quella mattina – mi raccontava – vidi arrivare zio Os.....ldo. Vestito tutto punto da partigiano. Armato con un vecchio archibugio scarico che chissa dove aveva trovato. Lui che per tutta la guerra si era imboscato. E che se vedeva un tedesco lontano un miglio scappava dalla paura. Diventò socialista o comunista non ricordo...”
Il 25 Aprile in un paesino dell'interno, traguardato da una contadina, non era che una Festa come un'altra. “Quando tuo nonno tornò dalla guerra – mi diceva – dovette emigrare: non c'era lavoro. Io di politica non capisco niente, aggiungeva”. Difatti andava a votare perché era “obbligatorio” e votava come gli diceva il prete del paese, malgrado le grandi discussioni, quasi risse, con mio padre, che con il prete proprio non andava d'accordo per niente.
Ecco, il 25 Aprile 1945 è stato forse l'illusione di un momento. Per alcuni. Dopo, solo una Festa qualsiasi. Occasione per sfoggiare il vestito buono. E mettere sotto i denti qualche “pastarella alla crema”, allora un miraggio tra i contadini. Tranne per i reduci più o meno come quello zio e dei vari funzionari di partito, che sfilavano impettiti pronti alla... rivoluzione! Naturalmente, la rivoluzione della pastasciutta e delle tagliatelle al sugo.
Ed oggi? Penso che se un ragazzo del 2048 (ammesso esista ancora la palla terracquea in quella data) chiedesse al nonno: “Nonno, cos'è la Libertà?” magari si sentirebbe rispondere: “Boh, una roba che avevano nel 1945!”.
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