Lasciando da parte il merito delle due questioni, su cui a quest'ora l'opinione pubblica si sarà già fatta un idea, è bene riflettere su un punto un po' più “politico” (politico tra virgolette).
Perché Nicola Petrini non teme le critiche? È semplice: perché i suoi voti non dipendono dall'opinione larga della città.
Il buon Petrini, sulla carta sarebbe del Partito Democratico. E questo già gli dà una certa garanzia in termini politici, perché è sempre una discreta blindatura. Ma, in ogni caso, lui ha un consenso personale che potrebbe – come si dice tra quelli che masticano di queste cose – trasportare dove vuole. Un pacchetto di voti “petriniani” che è ambito da chiunque costruisca liste. E che quindi gli lascia un certo margine di contrattazione politica, che lui tra l'altro fa pesare abilmente.
Per come è fatto il sistema elettorale dei municipi, soltanto il sindaco deve avere anche qualche voto d'opinione. Ai singoli consiglieri o aspiranti non è richiesto: a loro basta saper coltivare il proprio orticello elettorale. Il consigliere o aspirante tale non deve avere il consenso “della città”: è sufficiente un gruzzoletto di 2-300 voti, da accarezzare con dedizione per anni. È quello che serve per “entrare”, come si dice, nel gioco politico. Anche se mezza città, o quasi tutta, criticasse qualche sua scelta, non conta nulla, perché basta l'1 o il 2 per cento tra coloro che vanno a votare che esprimano silenziosamente una certa preferenza e 'sta apposto.
Ecco perché il voto non sarà mai uno spauracchio per abili raccoglitori di consenso particolare come il simpatico assessore Petrini. Può porsi qualche dubbio in più per il sindaco, ma in questo caso, con il curiale alternarsi dei silenzi, l'astuto non prendere mai le distanze senza mantenere nemmeno le vicinanze, anche il sindaco può sfangarla. Tanto più che, diciamolo, l'opposizione interna ed esterna a Petrini non è che sfavilli di idee.
Lunga vita al paletto, allora. E prendete bene la mira quando svoltate.
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